Due strade divergevano in un bosco d'autunno
e spiacente di non poterle percorrere entrambe,
essendo uno solo, mi fermai a lungo
e guardai, per quanto possibile, in fondo alla prima,
verso dove svoltava, in mezzo agli arbusti.
Poi presi l'altra, anch'essa discreta,
forse con pretese migliori, perché era erbosa e meno segnata
sebbene in realtà le tracce fossero uguali in entrambe le strade.
Ed entrambe quella mattina erano ricoperte di foglie
che nessun passo aveva annerito.
Tenni la prima per un altro giorno,
anche se, sapendo che una strada porta verso un'altra strada,
dubitai di poter mai tornare indietro.
Racconterò questo con un sospiro
Tra anni e anni:
due strade divergevano in un bosco e io,
io presi la meno battuta.
Questo ha fatto la differenza.
- Robert Frost
La strada meno battuta, è tutto qui.
Ogni volta che mi chiedo perché le cose non vadano nel verso giusto,
ogni volta che mi ritrovo a fare un confronto quando mi sento fragile,
ogni volta che riprendo le redini della mia vita, di me stessa, ogni
volta che ho deciso di farcela, ogni volta che rimango da sola, ogni
volta che penso di ricevere più di quanto merito, ogni volta che non
ricevo nulla, ogni volta che credo di poter chiudere un rapporto, ogni
volta che combatto per riaprirlo, ogni volta che penso di aver chiuso i
sogni nel cassetto, ogni volta che riconosco che nel cassetto ci sono io
e i sogni sono fuori ad aspettarmi, ogni volta che non scrivo, ogni
volta che scrivo e mi sento viva, ogni volta che penso che non ci credo,
ogni volta che ammetto che non smetterò mai di crederci,
ho trovato la risposta:
ho scelto la strada meno battuta.
Farà la differenza.
lunedì 16 dicembre 2013
Un giorno apparve un piccolo buco in un bozzolo; un uomo che passava per caso si mise a guardare la farfalla che, per varie ore, si sforzava per uscire da quel piccolo buco.
Dopo molto tempo, sembrava che essa si fosse arresa ed il buco era sempre della stessa dimensione.
Sembrava che la farfalla avesse fatto tutto quello che poteva e che non avesse più la possibilità di fare niente altro.
Allora l’uomo decise di aiutare la farfalla: con un temperino aprì il bozzolo.
La farfalla uscì immediatamente.
Però il suo corpo era piccolo e rattrappito, le sue ali poco sviluppate si muovevano a stento.
L’uomo continuò ad osservare perchè sperava che, da un momento all’altro, le ali della farfalla si aprissero, fossero capaci di sostenere il corpo e cominciasse a volare.
Non successe nulla. La farfalla passò il resto della sua esistenza trascinandosi per terra con il corpo rattrappito e con le ali poco sviluppate.
Non fu mai capace di volare.
Quell’uomo, con il suo gesto di gentilezza e con l’intenzione di aiutare, non ha capito che passare per lo stretto buco del bozzolo era lo sforzo necessario affinchè la farfalla trasmettesse il fluido del suo corpo alle ali, per far sì che potesse volare.
Era la forma con cui la natura la faceva crescere e sviluppare.
A volte, lo sforzo è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno nella nostra vita.
Se l'universo ci permettesse di vivere la nostra esistenza senza incontrare nessun ostacolo, saremmo limitati.
Non potremmo essere così forti come siamo. Non potremmo mai volare.
domenica 1 dicembre 2013
E' successo di nuovo.
E io devo andare avanti, anche se ad ogni passo la carne mi cade dal corpo.
Da qualche parte alle mie spalle ho lasciato il cuore.
Le persone mi guardano negli occhi, comprensive e non capiscono.
Dicono che prima o poi il dolore passerà. L'hanno detto la prima volta e ora lo diranno di nuovo.
Qualcuno un giorno mi ha detto che tutte le ferite, che si voglia o meno, guariscono.
So che non è vero. Guariscono solo se tu glielo permetti.
Quel dolore costante, rappresenta la mia ferita e il fatto che continuassi a sentirlo vivido e presente,
significa che voglio mantenerla aperta.
Non permetterò al tempo di vincere sul nostro amore.
domenica 10 novembre 2013
E' bello camminare per casa, quando è notte e tutti dormono.
E' una particolare condizione di beatitudine, l'essere svegli mentre tutti dormono, è come vivere sul confine tra due mondi.
Attraverso la casa di quando ero bambina, per uscire in giardino, i piedi nudi solleticati dall'erba che non cresce mai, per qualche secondo penso che sarebbe utile su alcuni pianeti, ma è un pensiero che nasce, muore, non lascia alcuno strascico dietro di sè.
Bernardo si è addormentato alla fine, cullato dalla chimica delle pillole che prende, una dopo l'altra come fossero caramelle. Cullato dai suoi demoni.
E' difficile non essere abbastanza. Mai abbastanza.
Mai abbastanza per fare qualcuno felice.
Mai abbastanza per impedire a qualcuno di morire.
Non sono abbastanza vita per Bernardo.
Non sono stata abbastanza sorella per Omi.
Non sono abbastanza amica per Saren.
Non sono abbastanza perchè non sono sincera.
Perchè dovrei esserlo, dovrei dire a ciascuno la verità.
Dovrei smettere di osservarli cadere.
Ma non posso fare altro perchè anche io sto cadendo.
Tutti stiamo cadendo.
E alla fine ricordo che esiste una legge psicologica inesorabile: nessuno può far soffrire nessuno.
Ognuno di noi è responsabile della propria sofferenza.
Attribuirla ad altri è voler tornare bambini che non vogliono affrontare le responsabilità.
Così mi siedo, e li lascerò andare e cadere, perchè per quanti sforzi io faccia, non posso vivere la loro vita. Posso solo vivere la mia.
Qualcuno mi sta osservando mentre cado?
domenica 6 ottobre 2013
Sono rimasta in albergo come d'accordo, aspetterò qualche ora prima di tornare a casa e la cosa non mi dispiace.
Non c'e' un muscolo che non si lamenti, anche se percepisco ancora la languida soddisfazione che ogni incontro con lui mi lascia.
Osservo la luce pallida entrare dalla finestra schermata, che forma strani giochi sulla parete.
Ripenso agli ultimi mesi, a tutto quello che è successo.
Sono guarita a quanto pare, posso mentire. L'ho già fatto? No. E' divertente non averlo ancora fatto, è come se dimostrassi ogni giorno che passa che in fondo non c'e' davvero bisogno di mentire.
Ma non credo sia qualcosa di molto importante.
Il mondo, il Verse è di nuovo in guerra. Su qualche pianeta, in qualche angolo dello spazio la gente sta morendo.
Non nemici.Persone collegate ad altre persone, collegate ad altre persone.
Persone che hanno amici, colleghi, famiglie e cani.
Che scivolano sul ghiaccio e ridono, che si ubriacano e cantano canzoni stupide.
Coco, Viky, Sophia, Saren, Moloko, Jack Rooster, Wright, Andrè.
Io che sono diventata Vice Ceo, Omi che è andata sullo skyplex e ne è tornata salva. Bill Blackbourne che ne è rimasto deluso. Perchè mi spiace?
E' normale pensare di essere diversi, è il sogno di chiunque esserlo, per distinguersi, per essere certi che se sparissimo, qualcuno si ricorderebbe di noi, per lasciare un segno.
Io vorrei essere come tutti invece. Amare ed odiare con la stessa passione. Provare invidia, rancore.
E' frustrante considerare ogni persona importante. Apprezzarla per pochi gesti, per un sorriso, una gentilezza.
Non odiare quanto si dovrebbe, è frustrante.
Rendersi conto di quanto si deludano gli altri, le persone che ci amano, perchè non si riesce a essere..normali.
Perchè alla fine è la normalità quella a cui le persone aspirano, che trovano tranquillizzante.
Mi alzo dal letto e raccolgo gli abiti sparsi per la stanza, controllo allo specchio se ho qualche segno addosso, ma tutti quelli che trovo sono ben nascosti.Sorrido alla persona che vedo nello specchio e in fondo mi rendo conto che qualche menzogna la dico anche io. Non ho bisogno di parole per mentire. Mento ogni volta che non gli dico che lo amo, mento ogni volta che lo guardo come se fosse un collega, mento ogni volta che lascio tra lui e me la distanza che ci deve essere tra un vice ceo e un tecnico.Mento ogni volta che non gli sorrido come vorrei fare.
Mento quando guardo le stelle e fingo di non soffrire per quella gente che muore.
E mento quando mi dico che vorrei essere normale.
Non vorrei essere normale.
Vorrei che lo fossero gli altri.
domenica 8 settembre 2013
Eravamo stanchi, così stanchi che avremmo potuto dormire in piedi come cavalli.
Ma anche il dormire era qualcosa di precluso, con quell'odore nauseabondo che ormai impregnava i vestiti, i capelli, qualsiasi cosa.
Ho una immagine chiara, io che sono seduta in una delle tende, i gomiti appoggiati alle ginocchia e la faccia tra le mani.
Poi sento un tocco sulla spalla, deciso.
"tocca a te"
I miei passi sono così pesanti, come il cuore, non sento più nemmeno il dolore, quel terribile dolore delle prime volte. Non sento più nulla. Razionalizzo e so di cosa si tratta, e so che prima o poi il dolore tornerà, anche se non so in che forma.
Alya , Jack se ne sono andati. Hinae si è impiccata. Deve aver trovato l'unico cazzo di albero della valle e si è impiccata.
Samuel sono giorni che non lo vedo.
Rimaniamo in dieci e di questi dieci, tre non fanno che rantolare in un angolo.
Sette, abili al lavoro.
E il mio turno è sempre più spesso, sempre più frequente.
Non c'e' gloria in questo posto, c'e' solo odore di sangue, di feci, di carne spappolata o bruciata e noi ci sguazziamo in mezzo, ci mangiamo in mezzo, ci dormiamo in mezzo.Persino la polvere ha l'odore del sangue.
Camminargli in mezzo è come camminare in un girone dell'inferno, con quelle mani che si protendono per tentare di afferrarti, le voci roche per le urla e le preghiere incessanti.Voci Che mormorano altre preghiere, le snocciolano come i cristiani fanno con il rosario.
"uccidimi"
"ferma il dolore"
"non voglio che mi vedano così"
"salvami"
Preghiere che cerco di non ascoltare per ridurre la cosa ad una dimensione non umana, meno dolorosa. Asettica.
E mi rendo conto che perdo la mia umanità pezzo per pezzo e rotola via da me, scacciata da qualcosa d'altro, lasciandosi dietro qualcosa che non sono io.
Poi mi sveglio di botto, emergo da quel gorgo velocemente, ansimando con quel cucciolo che guaisce in fondo al letto.
Quando riesco a stendermi di nuovo, penso a Bernardo. Cerco di infilarmi solo quel pensiero nella mente, come un chiodo nella carne.
"Se m'andrà bene t'amerò per sempre,
se m'andrà meglio morirò per te,
se m'andrà male sarai solo voce,
se sarà peggio un'abitudine."
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